IL 25 APRILE NON SI TOCCA!

Non si tocca il 25 Aprile: questo giorno così importante bisogna conoscerlo, assaporarlo, viverlo, amarlo.
Solo così si può difendere ciò che esso rappresenta e rispedire al mittente le provocazioni di trasformare questa tradizione in una festa di memoria generalizzata verso tutti i morti.
Non è giusto.
Questa è la festa della Liberazione, ed è una festa che divide.
Sì!
C’è stata, c’è, e ci sarà sempre divisione tra chi ama l’Italia e chi ama un regime morto e sepolto.
Un regime fondato su valori sbagliati che ha distrutto l’Italia intera e ha svenduto il suo suolo all’invasore nazista.
La Resistenza l’ha liberata: è un fatto storico.
La festa della Liberazione DEVE essere divisiva.
Non può esserci unità con i nostalgici fascisti.
Quindi invito tutti tramite questo articolo di tornare indietro nel tempo in quel dì, d’aprile, del 1945, in Italia.
Inizieremo il racconto dal 18 di quel mese, per chi non lo sapesse una data molto importante.
Fu un giorno mite, caldo quanto bastava, le rose erano pronte a sbocciare e gli operai di Torino promossero uno sciopero generale seguito da tutte le altre città del nord Italia ancora occupate dalla brutale Wehrmacht.
Gli scioperi di Milano, Torino, Genova, Bologna, Brescia, Padova, Udine, Venezia, diedero il segnale per la rivolta armata.
Una rivolta indipendente dagli alleati.
Disobbedendo agli ordini del Generale Clark, i partigiani lanciarono un attacco contro i nazifascisti di Milano mentre le truppe alleate erano ancora sulla linea di difesa tedesca, la cosiddetta linea gotica tra Pisa e Rimini.
Quindi quella rivolta ci permise di riacquistare la dignità persa durante il ventennio fascista agli occhi del mondo e della storia.
All’inizio della rivolta, oltre mezzo milione di partigiani erano sotto le armi.
L’esercito della Resistenza italiana contava 256.000 combattenti, di cui il PCI, con le sue brigate Garibaldi, ne fornì 155.000.
Finalmente arrivò il tanto atteso 25 Aprile 1945, giorno in cui scendemmo in piazza a festeggiare.
Le Rose sbocciarono, furono bellissime, come la Liberazione.
Ma con i fiori arrivarono anche le spine, le nostre spine di dolore furono un totale di 70.000 partigiani morti.
Uomini e donne di ogni estrazione sociale, che hanno donato la loro vita e il loro sangue lassù in montagna, per difenderci e difendere la nostra libertà.
È questo il fiore del partigiano, o bella ciao.

Maichol Petrianni

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