Continuità dello stato o continuità del fascismo?

di Agostino Botti

Questa domanda mi è venuta in mente dopo l’esito delle ultime elezioni politiche, che ha visto il 43% dei votanti premiare la destra estrema italiana. Uso la parola destra anziché il termine più pudico di centrodestra, perché nei tre partiti della coalizione vincente c’è molto di destra (nazionalismo, sovranismo, razzismo, neo/post-fascismo) e poco o niente di centro (cioè di sano conservatorismo liberale).
Come è noto, nell’immediato dopoguerra, nell’Italia costretta alla resa incondizionata e distrutta dalla guerra, si è posto immediatamente il problema di riorganizzare le funzionalità operative della macchina statale dopo due anni (settembre 1943-aprile 1945) di disgregazione in cui l’Italia è stata divisa in due apparati governativi e statali separati e contrapposti.
All’interno del CLN erano presenti componenti “rivoluzionarie-repubblicane” (comunisti, socialisti e azionisti) che propugnavano un cambiamento radicale dello stato, mentre gli altri partiti (democristiani, liberali e democratici del lavoro) privilegiavano una rinascita più “conservativa” non ostile aprioristicamente alla monarchia.
Tra le due componenti del CLN, anche in seguito alla presenza dell’occupazione anglo-americana e alla posizione ambigua e/o tattica di Togliatti (svolta di Salerno), prevalse la cosiddetta “continuità dello stato”, ossia non ripartire da zero con la macchina statale nelle sue componenti (ministeri, magistratura, esercito e forze dell’ordine) ma utilizzare le conoscenze tecniche dei singoli funzionari e dirigenti. Questa decisione politica ha portato però a quello che io vedo come “continuità del fascismo”.

In questo sono stato aiutato dalla lettura del pamphlet di Mimmo Franzinelli uscito nell’aprile scorso dal titolo Il fascismo è finito il 25 aprile 1945 (GLF Editori Laterza, Bari-Roma 2022, pagg. 160, € 14,00).
Con questo prezioso e agile saggio, Franzinelli ripercorre la genesi violenta del fascismo che lo portò prima al governo nell’ottobre 1922 e poi al consolidamento del regime con le leggi “fascistissime” del 1925, il tutto con la benevola acquiescenza della monarchia e dopo (1929) anche della chiesa cattolica, che vedevano nel fascismo una protezione per i propri privilegi.


Il fascismo, pur essendo un fenomeno prettamente italiano, fu preso ad esempio da altri paesi che lo adattarono alle loro caratteristiche e necessità (Germania hitleriana, Spagna franchista, Portogallo di Salazar, senza tralasciare altri movimenti fascistoidi come le Croci Frecciate ungheresi, la Guardia di Ferro rumena, fino ad arrivare ai colonnelli greci). Però il fascismo mussoliniano rimase un unicum e come tale è riuscito a sopravvivere alla sua sconfitta e perdita del potere, per cui ancora oggi si può parlare di “eredità del fascismo” all’interno della nostra repubblica.
Franzinelli si sofferma particolarmente sulla struttura della magistratura postbellica, che è chiamata a supervisionare le commissioni per l’epurazione e a all’applicazione della amnistia del 1946 proposta dall’allora ministro di giustizia Togliatti. Possiamo così vedere che per evitare “di distruggere l’ossatura del paese” (C.A. Jemolo) ritroviamo alle supreme cariche giudiziarie – Suprema Corte di Cassazione in primis – magistrati già membri del disciolto Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato o di altri organi giudiziari fascisti, come ad esempio Gaetano Azzariti, presidente della Commissione della razza, che diventerà addirittura nel 1957 il primo presidente della Corte costituzionale.
Scrive Franzinelli “Già a inizio 1946 il fallimento della defascistizzazione risulta evidente. […] Il commissario per l’epurazione, Peretti Griva, esaminate le posizioni di circa cinquemila dirigenti statali, raccomanda al governo il licenziamento di 380 alti funzionari. La lista viene subito alleggerita di una quarantina di nomi, poi […] di un altro centinaio”. Da come si legge in rete (Wikipedia) su un totale di più di 140.000 casi esaminati, solo un decimo degli indagati venne rimosso dall’incarico.
Non ci possiamo quindi meravigliare degli esiti scandalosamente favorevoli dei processi contro gli ex-fascisti, quando nelle corti penali sono stati reintegrati magistrati compromessi con il passato regime in nome della “continuità dello stato”. Alla magistratura era affidato l’esame dei casi di amnistia, che prevedeva l’inapplicabilità a soggetti macchiatisi di gravi atti di crudeltà. L’interpretazione che ne danno i magistrati della Suprema corte di cassazione risulta oggi – ai nostri occhi – particolarmente
scandalosa.


Gli esempi che Franzinelli riporta nel suo libro sono allucinanti. Emblematica è la sentenza della II sezione della Cassazione presieduta da Vincenzo De Ficchy, un giudice adatto “per tutte le stagioni”, che “accoglie il ricorso presentato da un ufficiale della XXII brigata nera «Antonio Faggion», colpevole di orribili violenze contro una staffetta partigiana vicentina” con una articolata motivazione dove spicca la seguente frase: “non costituisce sevizia e tanto meno sevizia particolarmente efferata, ma soltanto la massima offesa al pudore e all’onore di una donna, anche se essa abbia goduto di una certa libertà essendo staffetta dei partigiani”. In parole povere, quella partigiana se l’era cercata.
Ancor peggiore è la situazione della magistratura militare, che mantiene continuità di giudici e di personale culminata con il famoso e famigerato “armadio della vergogna”, riscoperto solo nel 1994, quando la quasi totalità dei criminali di guerra era ormai passata a miglior vita.
“Poliziotti e prefetti dall’uno all’altro regime” s’intitola un capitolo del pamphlet di Franzinelli, che porta “alcune storie esemplari” di come molti alti funzionari siano passati direttamente dall’OVRA alla polizia repubblicana. Un esempio è rappresentato da Marcello Guida, passato dalla direzione della colonia penale di Ventotene, dove angariava gli oppositori antifascisti lì confinati, fino alla carica di questore di Milano al tempo dell’attentato di Piazza Fontana e coinvolto personalmente nell’oscuro episodio del defenestramento e morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli durante l’interrogatorio in questura.
Franzinelli ricorda in questo capitolo gli ambigui rapporti intercorrenti tra polizia e servizi segreti – deviati e non – con gli ambienti del terrorismo di estrema destra e con le coperture e gli insabbiamenti che si intrecciano fittamente con le “trame nere”, e che hanno operato affinché per moltissimi anni si evitasse di giungere alla verità giudiziale.


Ma come si è arrivati al presente, dove possono presentarsi impunemente gli “squadristi del terzo millennio” di CasaPound o di Forza Nuova? Come è stato possibile l’assalto squadristico di un anno fa alla sede della CGIL di Roma? La risposta è da cercare nel mancato rinnovamento dell’apparato statale in nome della “continuità”, nel mutato clima politico con l’inizio della guerra fredda, per cui il nemico in quel momento da battere era il comunismo anche con l’utilizzo di ex-fascisti di sicura fede anti-sovietica.
Abbiamo avuto quindi una eterogenesi dei fini, supportata anche dal racconto che in fondo il fascismo, specialmente se confrontato con il nazismo, è stata, sì una dittatura, ma alquanto blanda.
Scrittori e giornalisti, come Indro Montanelli con la sua biografia immaginaria Il buon uomo Mussolini (1947), le cronache rosa su Claretta Petacci riportate dai “settimanali popolari a larga diffusione [nei quali] la memoria del fascismo si tinge di nostalgia” hanno contribuito a questo cambio di opinione, per cui il duce “ha fatto anche cose buone”. Oggi si dimentica la violenza congenita del fascismo e di Mussolini: le spedizioni punitive e gli assassinii compiuti degli squadristi, le stragi nelle colonie, le guerre di aggressione italiane (Etiopia, Spagna e Grecia) e quelle al seguito dell’alleato tedesco (Jugoslavia, Unione sovietica). Ma principalmente si dimentica che Mussolini, dopo avere condotto l’Italia in una guerra, alla quale non era militarmente preparata e dopo averla persa rovinosamente, non ha avuto nemmeno il coraggio di suicidarsi come il suo allievo e sodale Hitler, ma è stato catturato mentre fuggiva da vigliacco travestito da tedesco.
Tutta questa banalizzazione della dittatura e di Mussolini ha permesso che manifestazioni grandi e piccole di post-fascismo possano impunemente diffondersi in Italia (dal monumento funebre al criminale di guerra Rodolfo Graziani ai calendari mussoliniani in libera vendita) senza che vengano sanzionate né dalla magistratura né dall’opinione pubblica.
Allora, secondo me, bisognerebbe aggiungere un punto interrogativo al titolo Il fascismo è finito il 25 aprile 1945, punto interrogativo che Mimmo Franzinelli ha deliberatamente tralasciato, lasciando ognuno libero di farlo o meno.

Agostino Botti
Magonza (Ottobre 2022)

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