La memoria scade come una merce?

Nel mese di dicembre 2020 una sentenza del Tribunale di Francoforte ha fatto sensazione respingendo il ricorso presentato da Maria Falcone, sorella del magistrato, contro il titolare di una pizzeria  che ha usato il nome “Falcone e Borsellino” nell’intestazione dell’esercizio.
La sentenza n. 2-06 0 322/19 del 25-11-2020, pur trovando l’intitolazione lesiva del nome dei due giudici, considera che i due magistrati – qui ritratti insieme in una delle loro foto più famose al mondo e diffuse nel web -, a quasi trent’anni dalla loro uccisione, siano ormai noti sono agli operatori del settore, e non al pubblico generale in Germania, e che oggi il tema della lotta alla mafia non sia più così sentito tra i cittadini.
Oltre allo stupore e all’indignazione provocati dall’esito e dalla motivazione della sentenza nella comunità italiana in Germania, nonché ovviamente in Italia, per noi dell’ANPI di Francoforte essa mette in evidenza alcuni aspetti inquietanti. La motivazione che i fatti si siano svolti in un altro paese, in tempi lontani e che Falcone, oggetto principale del ricorso, protagonista indiscusso della lotta contro la mafia e sua vittima, non sia più persona nota in Germania a tre decadi dal suo assassinio, pone direttamente il problema della rimozione di simboli della lotta per la giustizia e la libertà, che con il passare del tempo diventano meno riconoscibili perché più distanti, lungo una pericolosa china che porta dritto al revisionismo storico.

Che Falcone non sia persona nota in Germania va confutato per due motivi: uno oggettivo – si vedano l’intensa collaborazione tra le polizie italiana e tedesca nella lotta alla mafia, i seminari universitari sulla mafia tenuti per lungo tempo da Nando Dalla Chiesa alla Freie Universität di Berlino, e la presenza di un’associazione come „Mafia nein, danke!“ nelle città tedesche di Berlino e Mannheim, sorte per contrastare le attività mafiose soprattutto nel settore della gastronomia; e uno  logico: perché dare ad una pizzeria il nome di uno sconosciuto?

Per avere visibilità, un locale commerciale deve dotarsi, tra l’altro, di un nome di sicuro richiamo, che evochi un ricordo piacevole, faccia leva su una memoria ampiamente condivisa, su elementi noti ai più. E già con questo intento la memoria, in questo caso di una vittima della mafia e del suo impegno (e successo) contro di essa, diventa folklore e merce.
Lo stesso effetto ottiene anche la sentenza del tribunale di Francoforte: la memoria, inquadrata in rigidi limiti temporali (troppo lontani i fatti) e spaziali (Falcone e Borsellino sono noti solo in Italia) diventa una merce che scade alla fine del ‘periodo di validità’: da consumarsi preferibilmente prima dei trent’anni il ricordo di due giudici simbolo della lotta contro la criminalità organizzata internazionale. 
 
Forse per una svista, il giudice non collega la memoria ‘scaduta’ dei giudici a quella della strage di Duisburg nel ferragosto 2007 (pericolosamente vicina, questa, nel tempo e nello spazio), nonché ai contatti, al giro di  affari, alla commistione di aspetti finanziari, economici e politici che le organizzazioni criminali con base in Italia hanno saputo sviluppare in Germania, soprattutto grazie ai capitali che facilmente possono essere immessi nelle banche e nelle società tedesche grazie alle lacune legislative antiriciclaggio qui esistenti.

Che l’operato e l’omicidio di Falcone e Borsellino siano cosa estranea alla Germania può essere solo compreso nel senso che, certo, hanno avuto luogo altrove (e comunque pur sempre nell’Unione Europea di cui la Germania è parte). Ma sottintendere che l’operato dei due giudici non sia più significativo in Germania ci pare come minimo segno di ingenuità, e senz’altro di ignoranza dei fatti della storia recente, tedesca e internazionale.
(Ricordiamo che la sentenza è stata emanata dallo stesso tribunale che ha escluso la motivazione politica per l’incendiario Joachim S., legato a gruppi di destra e finanziatore dell’AfD -cfr. Kein politisches Motiv erkannt – , e condannato a sette anni e mezzo di detenzione per aver appiccato fuoco, fra l’altro, a centri di incontro di gruppi di sinistra).
 
Per chi come noi coltiva e promuove la memoria storica non solo come ricordo, ma come ispirazione dell’azione presente e futura, questa sentenza potrebbe costituire un pericolosissimo precedente: arriverà anche il momento in cui i crimini nazisti e fascisti, commessi ‘altrove tanto tempo fa’ non saranno più tali? Quando scadrà, con avvallo giuridico, la straordinaria capacità di esempio delle donne e degli uomini che sono morti per la libertà di tutti? Così, con sentenze che sanciscono l’oblio dei simboli della resistenza all’ingiustizia e alla criminalità, si spiana la
strada alla rimozione e al revisionismo.

Maurella Carbone

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