Non lo dico per un’inutile vanteria, ma considero un notevole successo della nostra iniziativa lo svolgimento del Seminario tenuto nel Salone Alessi, del Comune di Milano, sabato 16 gennaio, su un tema estremamente delicato, capace di suscitare ancora passioni e contrapposizioni. Il seminario era contrassegnato da alcune caratteristiche peculiari: si svolgeva a Milano e non nelle zone più direttamente coinvolte ed interessate; era rigorosamente costruito attorno a relazioni e ad una tavola rotonda, di soli storici; non erano previsti interventi dal pubblico. Una serie di connotati che avrebbero potuto suscitare riserve e condizionare anche la partecipazione. Così non è stato; la sala è stata affollatissima, per tutta la durata del seminario, al punto che, al mattino, si sono dovute aggiungere diverse sedie a quelle previste di consueto. Gli storici hanno svolto le loro relazioni nella più viva attenzione e così anche la tavola rotonda, a cui è mancato solo un
partecipante (il prof. Gombač, per motivi di salute, a cui ha inteso ovviare mandando un intervento scritto).
Alla fine, tutti hanno dovuto convenire che si era trattato di una positiva giornata di riflessione e di discussione, con l’oggettività imposta dalla storia, al di fuori e al di là di spesso impossibili “neutralità” (che è cosa del tutto diversa dall’oggettività della ricerca storica).
I temi trattati, dall’introduzione generale della professoressa Marta Verginella a quelli più specifici, il fascismo nell’area di confine (Annamaria Vinci), la Resistenza italiana e jugoslava (Alberto Buvoli), l’esodo (Gloria Nemec), le foibe (Roberto Spazzali), sono stati completati con la tavola rotonda, condotta dal prof. Marcello Flores dell’INMSLI e composta da Franco Cecotti, Luciana Rocchi, Jože Pirjevec, Franco Miletto. Il Presidente dell’ANPI ha svolto, alla fine, alcune considerazioni conclusive, ritenendo corretto rinunciare, in un Seminario storico, a svolgere vere e proprie conclusioni.
Si è visto subito che la scelta di Milano era stata opportuna, proprio perché Milano, (benché non mancassero molti milanesi interessati alla tematica), era “al di sopra della mischia”, come si suol dire e più idonea a consentire una riflessione pacata e seria.
Quanto ai relatori, ognuno ha potuto constatarne la competenza, del resto conclamata dai loro scritti, ricerche e studi. Le obiezioni per alcune omissioni, che qualcuno aveva sollevato, sono cadute subito, di fronte al fatto che, tra i tanti che hanno studiato le questioni trattate, bisognava pur operare una scelta, qualche assenza era determinata da impedimenti personali del possibile relatore interpellato, in ogni caso era stato ricercato un equilibrio di opinioni e assunti, al di là di qualsiasi criterio di “rappresentanza”, o territoriale, o di interessi, o di posizioni. L’alta qualità è stata suffragata dal fatto che sono mancate, del tutto, le asserzioni categoriche, che non dovrebbero mai caratterizzare un discorso puramente storico, così come dal fatto che vi sono state molte “aperture” di prospettive di ricerca e molte indicazioni di possibili filoni di approfondimento.
Si è visto, insomma, ciò che intendevamo dimostrare, cioè che non è affatto impossibile dialogare e confrontarsi anche su temi delicati e scottanti, se si lascia la parola alla storia, anziché ai sentimenti ed alle emozioni, pur comprensibili, ma spesso non utili per perseguire l’obiettivo della verità storica.
Così si è potuto, serenamente, precisare da parte dei relatori che il tema “foibe” è ancora aperto, perché il termine generale finisce per essere generico, se non si tiene conto che ci sono state più foibe, quelle del 1943 e quelle del 1945, con connotati assai diversi e tutte meritevoli di ricerche e approfondimenti. È stato possibile, allo stesso modo, ricordare che non c’è stato un solo esodo, ma diversi esodi, anche diversamente motivati, in periodi storici differenti, pur esistendo un fenomeno, quello comunemente definito “degli esuli istriani e delle zone di confine” che prevale su ogni altro. Si è potuto anche chiarire che le motivazioni degli esuli non possono essere ricondotte ad un unico filone, essendovi stata – invece – una pluralità di ragioni a determinare una scelta tutt’altro che unica e tutt’altro che riconducibile a quel “nazionalismo” elementare e perfino ristretto, al quale, talvolta, qualcuno vorrebbe ricondurre un fenomeno così drammatico.
Non ci si è fermati specificamente sulla tragedia dei singoli e delle famiglie, perché – pur riconoscendone la rilevanza estrema sul piano umano – l’obiettivo non era quello di esprimere un doveroso sentimento di partecipazione, ma quello di “fare storia”. Non a caso, in tre interventi diversi (nell’introduzione del Presidente dell’ANPI e in due distinte relazioni), si è fatto riferimento al pregevole libro di De Luna, intitolato “La Repubblica del dolore”, per ricordare che la memoria assume davvero il carattere di valore, quando va al di là delle emozioni e dei sentimenti, per fondarsi sulla riflessione e sulla conoscenza. È la verità: le emozioni possono cedere, alla lunga, all’oblio, la storia, invece, resta a svolgere la sua funzione. E sul terreno storico si possono comporre contrasti che altrimenti si protrarrebbero all’infinito.
Del resto, il seminario ha fornito uno spaccato interessante anche da questo punto di vista: un’Associazione di esuli era presente, concordava con gli obiettivi del seminario, ed ha accettato di non intervenire, come gli altri; un’altra Associazione, ricevuto l’invito, ha preferito inviare al Presidente dell’ANPI una lettera con faziose ricostruzioni e insulti e con una significativa nota finale, che ai tradizionali saluti sostituiva una frase di una notevole miseria morale (“con profonda disistima”). Peraltro, un’altra Associazione, assente, ma scrivendo con tono assai più corretto, ha lamentato di non aver nessun rappresentante fra i relatori, non avendo compreso che i relatori rappresentavano solo se stessi e il proprio lavoro di studio e di ricerca. Sono queste differenziazioni e soprattutto questa incapacità e impossibilità di ascolto, e questa rincorsa a stimolare non solo sentimenti, ma risentimenti e rancori, che ci ha fatto compiere la scelta di un seminario in cui il confronto avvenisse solo fra gli storici.
Essi infatti hanno dimostrato che, se ci si muove su terreno storico, si placano gli animi, si cerca la verità, per quanto possibile, si affonda la riflessione nelle radici della conoscenza. Solo questo è il modo che può consentire di superare quella fase, puramente emozionale, cui si riferisce De Luna, ovviamente senza mettere da parte l’umanità che è fondamentale perfino nelle sedi più autenticamente storicistiche.
Abbiamo, dunque, raggiunto un risultato importante, dimostrando che si può, anzi si deve, cercare di raggiungere la verità storica su fatti drammatici, continuando a scavare ed approfondire, per quanto possibile, favorendo così l’incontro anche di opinioni contrapposte, ma disponibili al dialogo ed al confronto vero, quello che si basa sulla riflessione e non su pregiudizi e su preconcetti.
Adesso, naturalmente, andremo avanti sulla strada intrapresa. Cercheremo di mettere insieme gli atti (è stato tutto registrato) in modo da garantirne l’accessibilità; ci vorrà del tempo, perché sarà necessario anche il consenso dei relatori sui testi che verranno trascritti. Nel frattempo cercheremo di pervenire ad una sintesi, redigendo un documento che dia conto delle acquisizioni, così come delle questioni meritevoli di approfondimento.
Trarremo spunto dal dialogo fra gli storici, per dimostrare che, mettendo da parte i pregiudizi e lavorando sulle acquisizioni degli storici, si potrebbe trovare materia di contatto e di confluenza almeno su qualche punto, anche con altre Associazioni disponibili al ragionamento ed alla ricerca della verità. So che è difficile, se non addirittura impossibile raggiungere, su alcuni fatti drammatici, una memoria condivisa, ma sono altrettanto convinto della possibilità di reperire elementi di memoria “comune”, fondati su ricostruzioni storiche appaganti e convincenti. Questa è l’unica via per superare i risentimenti e gli odii e per rendere davvero giustizia a tutti coloro che la meritano.
Lo Stato italiano ci ha provato con la istituzione della “giornata del ricordo”, ma l’ha fatto in fretta e male, se è vero che quella giornata destinata alla “memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale”, è diventata, troppo spesso, un pretesto per attizzare quei rancori, risentimenti ed odii, che invece si sarebbe dovuto cercare di mettere al bando. L’ANPI sta lavorando, da tempo, per trasformare quella giornata (10 febbraio) in ciò che avrebbe dovuto essere, un giorno di vera “memoria” su tutte le vicende drammatiche alle quali si riferisce il titolo della legge 92/2004, con la pacatezza e la riflessività che derivano dall’esperienza e dalla acquisizione degli studi storici e dalla necessità di superare antichi solchi divisivi per rendere davvero giustizia alle vittime ed ad una grande tragedia.
Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi
PS. Devo un ringraziamento sincero a tutti i relatori, di cui ho apprezzato l’estrema disponibilità e l’altrettanto estrema correttezza e completezza professionale. Un ringraziamento particolarmente caldo ai compagni ed amici che si sono sobbarcati lunghi e pesanti viaggi per “ascoltare” per un’intera giornata, dimostrando un interesse e un impegno che va al di là del nostro quotidiano “volontariato”.
Fonte: anpi.it