La Giornata della Memoria, cioè l’anniversario della liberazione del campo di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche, è tradizionalmente concentrata al ricordo della Shoah e allo sterminio nazista.
Il termine “nazista” sembra delimitare le responsabilità di questa tragedia alla sola Germania, quasi ad assolvere gli altri “volonterosi” persecutori.
Questa elementare ed equivoca interpretazione è presente anche nell’immaginario collettivo italiano.
Il cattivo tedesco e il bravo italiano è l’ironico ed amaro titolo del saggio di Filippo Focardi (Laterza, Bari 2013) che si concentra sul processo di autoassoluzione che la coscienza del nostro paese ha elaborato nei confronti dei crimini commessi dagli italiani durante il secondo conflitto mondiale.
Se prendiamo in considerazione le leggi razziali del 1938, la vulgata ci racconta che esse furono volute da Mussolini (e vergognosamente accettate da Vittorio Emanuele III) perché costretto da Hitler ad emulare le politiche antiebraiche tedesche.
Questa interpretazione di comodo è confutata dalla maggioranza degli storici del fascismo che ricordano le violente campagne antiebraiche di Telesio Interlandi sul quotidiano Il Tevere, che lo portarono a scontrarsi con i numerosi italiani di religione ebraica, ma di proclamata fede fascista.
Centinaia di ebrei parteciparono alla marcia su Roma, industriali e banchieri ebrei appoggiarono Mussolini in funzione antibolscevica (Olivetti, Toeplitz, ecc. vedi, tra gli altri: Tranfaglia, Il Fascismo e le Guerre mondiali, Rusconi 2019), senza dimenticare Margherita Sarfatti, musa, amante e biografa del duce.
Ancora nel 1932, Mussolini affermava al giornalista ebreo tedesco Emil Ludwig che “L’antisemitismo non esiste in Italia” (Colloqui con Mussolini, 1970, Edizione Oscar Mondadori, pag. 87).
Dopo la conquista dell’Impero, in un delirio collettivo, vennero alla luce tutti gli impulsi razzisti nei confronti delle cosiddette “razze inferiori”, cioè le popolazioni coloniali africane e, per non farsi mancare niente, anche contro i cittadini italiani di religione israelitica. Alla guida di questo delirio troviamo nuovamente Telesio Interlandi con la nuova rivista la Difesa della Razza fondata nel 1938, che pubblica nel suo primo numero il Manifesto della Razza elaborato da dieci scienziati italiani.
Dal Settembre 1938 incomincia una radicale discriminazione nei confronti degli ebrei italiani, indipendentemente dai loro meriti nei confronti della patria comune. Fino al 1943, in Italia e nei territori occupati dal nostro esercito, la discriminazione e l’ostracismo non raggiunse il livello della ferocia nazista, tanto che parecchi ebrei di altre parti d’Europa arrivarono in Italia per sfuggire ai nazisti, ma vennero internati in campi di concentramento. Così vennero considerati stranieri, perdendo la cittadinanza italiana, gli ebrei provenienti da altri paesi, ma naturalizzati dopo il 1919.
Per non entrare in conflitto con il Vaticano fu istituita la figura dell’ebreo arianizzato, rappresentato dai convertiti alla religione cattolica, spesso a seguito di matrimoni misti.
Tutto questo precipitò dopo l’8 Settembre e la conseguente occupazione tedesca dell’Italia centro- settentrionale e la creazione della Repubblica Sociale Italiana. Per convinzione o per compiacenza nei confronti dell’alleato tedesco, i vari Interlandi, Preziosi, Farinacci, Pavolini ecc. fecero a gara a chi era più antisemita. Le autorità rebubblichine di ogni ordine e grado parteciparono attivamente alle razzie antiebraiche delle SS, fornendo loro gli elenchi dei cittadini ebrei e dei membri delle comunità israelitiche, ben sapendo qual era il loro destino finale (cfr. il recente saggio di Mimmo Franzinelli Storia della Repubblica Sociale Italiana, Laterza, Bari 2020).
Cosa c’entra tutto questo con Atessa, cittadina alle falde della Majella?
Nell’autunno 1943 Atessa si trovava sulla strada di quanti cercavano una via di fuga dal Nord verso l’Italia meridionale già liberata dagli alleati. Militari e civili che non volevano mettersi al servizio delle autorità fasciste e tedesche, prigionieri di guerra alleati usciti dai campi di prigionia ed ebrei sfuggiti alla caccia nazi-fascista, che ormai non rispettava più neppure la figura dei cosiddetti ebrei arianizzati.
Tra i militari in viaggio verso il Sud c’era mio suocero, ufficiale pilota di carriera e suo fratello, già addetto aereonautico aggiunto presso l’Ambasciata di Berlino. Tra i civili c’era la famiglia ferrarese di rigine ebrea F.-C., ma convertitasi al cattolicesimo “già da due generazioni” (come mi venne riferito in seguito).
Alcuni anni fa ho visitato Atessa per ritrovare i luoghi descritti da mio suocero. Il Comandante dei vigili al quale mi ero rivolto per le informazioni mi chiese “anche lei è un parente dei rifugiati ad Atessa durante la guerra?”. Numerose testimonianze e iniziative cittadine hanno negli anni ricordato la solidarietà della popolazione di questa cittadina abruzzese nei confronti dei profughi in fuga dai tedeschi e dai fascisti.
Dal Diario di mio suocero e dal libretto di ricordi scritto da Giovanni F.-C., uno dei ragazzi di origine ebraica in fuga dai nazi-fascisti, ho tratto il racconto L’amico trovato (parafrasando il famoso libro di Fred Uhlman), qui linkato.
Questo mio intervento intende essere un monito per chi minimizza la complicità italiana nella Shoah, lasciando ogni responsabilità ai tedeschi, ricordando che la persecuzione degli ebrei è anche rappresentata da numerosi episodi “minori” e non solo dai Lager nazisti.
Agostino Botti
Magonza, Giorno della Memoria 2021