Tra la miriade di campi di concentramento nazisti quello costruito nei pressi del paese di Ravensbrück, a circa 80 km a nord di Berlino su di un terreno di proprietà del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, presenta una sua peculiarità che lo fa ricordare come “il campo delle donne”. Infatti, attivato nell’aprile del 1938 e gestito direttamente dalle SS, ospiterà quasi esclusivamente donne, le cui colpe erano quelle di appartenere a categorie “pericolose” per il nazionalsocialismo e la purezza della razza ariana: comuniste, socialiste, ebree, partigiane, testimoni di Geova, Rom, Sinti, lesbiche, alcoliste, prostitute, asociali (termine che indicava chi non era ritenuto in linea con i modelli imposti dal regime e dalle Leggi di Norimberga sulla purezza razziale).
Nei pressi del campo sorgevano anche le villette abitate dalle SS e dalle loro famiglie e una fabbrica di materiale elettrico della società Siemens che, come altre ditte tedesche, troverà grande vantaggio dall’avere a portata di mano un serbatoio di operaie/schiave fornite a basso prezzo dalle stesse SS. Altre produzioni vennero attivate anche all’interno del campo, tra le altre anche una sartoria per la produzione di divise militari per le stesse SS. Oltre al lavoro coatto alcune delle deportate furono anche oggetto di esperimenti pseudo scientifici; un altro aspetto sinistro di utilizzo del campo fu quello di scuola di formazione e tirocinio per circa 5.000 Aufseherinnen, donne addette alla sorveglianza dei block femminili, da inviare poi anche in altri vari campi. Negli anni giungeranno deportati da tutti i Paesi occupati dai tedeschi; si arriverà ad avere un transito totale di circa 120.000 prigioniere di 40 paesi diversi, tra cui circa 1.200 italiani per la maggior parte donne. L’alta mortalità e le periodiche eliminazioni delle prigioniere, ormai non più ritenute idonee al lavoro, ed anche dei bambini deportati con le madri o nati nel campo, fa ammontare a circa 40.000 il numero delle vittime.
Anche tra queste donne lavoratrici coatte vi furono episodi di coraggiosa resistenza, tanto che si riportano tra l’altro circa 2.500 atti di sabotaggio nelle attività produttive. Il campo, nell’ultimo periodo, fu fornito anche di camera a gas e un forno crematorio, le cui ceneri venivano poi gettate nel lago del paese, cosa che disturbò la fruizione balneare dello stesso e fu oggetto di lamentele. Con l’avanzata del fronte orientale, anche in questo caso, le SS avevano tentato di evacuare il campo costringendo le prigioniere ad una “marcia della morte”, ma l’arrivo dell’Armata Rossa nell’aprile del 1945 consentì di salvare parte delle deportate ancora presenti nel campo e di raggiungere quelle sopravvissute alla marcia.
Questo Luogo della Memoria è meta di periodiche visite. In una di queste, il 14 aprile del 2019, vi fu una cerimonia organizzata dalla nostra Ambasciata con l’Ambasciatore Luigi Mattiolo che scoprì una lapide commemorativa: “A perenne memoria delle donne italiane, vittime del campo di concentramento di Ravensbrück. Il loro sacrificio sia di monito per le generazioni future”. A questa visita parteciparono anche alcuni nostri iscritti ANPI Berlino.
Per un approfondimento ricordiamo, tra le diverse documentazioni esistenti, il libro di Lidia Beccaria Rolfi e Anna Maria Bruzzone “Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane”.
Ringraziamo i nostri soci Giuseppe e Franco per testo e foto.