In memoria di Pierantonio Cividini – ex internato militare italiano nei lager nazisti
La toccante storia di Pierantonio Cividini, raccontata dai figli Annamaria, Fabiana, Giannicola e Roberto, è emblematica della vicenda di tanti militari italiani che, all’indomani dell’armistizio, si rifiutarono di continuare a combattere con i nazifascisti e per questo furono puniti con l’internamento in condizioni disumane nei lager del Terzo Reich, soffrendo la fame, il freddo, il lavoro coatto. Dalle righe che seguono, la coraggiosa opposizione al dispotismo e alla barbarie, e un messaggio di pace militante.
Forse, noi figli non siamo le persone più indicate per parlare di nostro papà, Pierantonio Cividini: quando è morto – il 29 novembre 1962 – aveva solo quarantatré anni, mentre la più grande di noi quattro figli, ne aveva solo tredici.
Inoltre, come tanti ex internati ed ex deportati, non ci aveva mai raccontato della sua dura esperienza, che ci sentiamo, però, in dovere di ricordare, in memoria di quanto ha fatto negli anni dopo la guerra.
Lo ricordiamo come un uomo vecchio, magro e sofferente, proprio per le conseguenze della prigionia nei lager tedeschi, dove era stato, per quasi due anni, dal settembre del 1943 all’agosto 1945.
Al suo rientro, il 28 agosto 1945, date le cattive condizioni di salute, fu ricoverato presso l’ospedale della Clementina di Bergamo e successivamente all’ospedale Militare di Milano, in quanto affetto da T.B.C., ulcero caseosa sinistra, dove rimase fino al 9 novembre 1946.
Venne riconosciuto invalido di guerra; nostra mamma ci raccontava che non aveva voluto gli fosse attribuito il livello d’invalidità più elevato, perché non avrebbe più potuto insegnare, cosa che desiderava fortemente.
Nato il 24 luglio 1919, prestò servizio militare dal 14 luglio al 15 novembre 1940 presso la scuola allievi ufficiali di Arezzo; il 1° luglio 1941 venne chiamato alle armi, prima al 78° reggimento della divisione Lupi di Toscana, poi alla 7° compagnia cannoni 47/32 della stessa unità. Venne dislocato in Francia a Bandol – Sanary sur mer, nei pressi di Tolone, dal 10 novembre 1942 all’8 settembre 1943.
Rientrato dalla Francia insieme ai suoi commilitoni, venne catturato dalle forze armate tedesche il 13 settembre 1943 a Firenze e venne deportato in Germania; passando dalla stazione di Tarvisio riuscì a dar notizie di sé, gettando, dal vagone bestiame in cui si trovava, una sua
cartella, che venne raccolta e recapitata ai suoi familiari. Giunto nel lager XI A di Altengrabow, in Germania, venne registrato come I.M.I. e gli fu attribuito il numero di matricola I03566 XI A, numero che ricorrerà persino nei documenti italiani ed alleati successivi alla liberazione!
Fu poi trasferito nel lager di Beniaminowo, in Polonia, poi a Sandbostel, lager X B, infine a Wietzendorf (Oflager 83), nei pressi di Amburgo.
Durante la prigionia, in seguito alle privazioni ed alle cattive condizioni di vita si ammalò, venne ricoverato per la prima volta all’infermeria del Campo italiano 83 di Wietzendorf; il 9 aprile 1945 avendo accusato dolori alla parte sinistra del torace gli venne riscontrata pleurite secca con T.B.C., ulcero caseosa sinistra. Il 16 aprile 1945, all’atto della liberazione, si trovava appunto nell’Oflager 83, dove secondo la dichiarazione del comandante, “detto ufficiale è rimasto ininterrottamente nei campi di concentramento. Allo stato attuale degli atti, risulta che egli non ha compiuto azioni manifestanti volontà di collaborazione e non ha comunque collaborato con la Germania e con la Repubblica Sociale Italiana”.
Fu poi trasportato all’ospedale “Liberation” per P.W.x. di Bomlitz il 29 maggio 1945. Gli venne praticata la frenico exresi sinistra il giorno 11 luglio e successivamente venne trasportato a Belsen l’8 agosto 1945, per rimpatriare. Il 16 agosto venne rimpatriato con un’autolettiga della Commissione Pontificia di Assistenza e giunse a Bergamo il 23 agosto 1945, qui – come detto – venne ricoverato in ospedale fino al 9 novembre 1946, data in cui fu anche posto in congedo dal servizio militare.
Ripresi gli studi, si laureò in lettere all’università Cattolica di Milano il 16 novembre 1946; dal dicembre 1946 ha insegnato a Bergamo prima come supplente al liceo classico Paolo Sarpi ed alle scuole medie G. Donati Petteni, e poi, come docente di Letteratura italiana e storia, all’allora Istituto magistrale Paolina Secco Suardo, dove insegnò fino alla morte.
Collaborò anche alle iniziative scolastiche per l’unità europea, della quale era pienamente convinto. Affiancò le sue responsabilità professionali con l’impegno civico di dirigente delle A.C.L.I. e componente dell’U.C.I.I.M., l’unione cattolica degl’insegnanti medi.
Personalmente siamo rimasti molto colpiti dal fatto che ci sono studentesse che lo ricordano ancora oggi, nonostante sian passati oltre sessant’anni dalla sua morte.
Alle commemorazioni tenute negli ultimi anni, il 27 gennaio sono sempre presenti diverse ex alunne, giunte anche da altre città italiane; un segno di stima che ci ha commosso. Diverse di loro si son impegnate a fondo, perché, ogni anno, gli fosse tributato un ricordo nel giorno della Memoria.
Il Comune di Bergamo da diversi anni gli ha dedicato un passaggio cittadino, per le sue qualità di educatore.
Dalle ex alunne vien ricordato per la passione con cui insegnava: “… si spendeva con tutte le sue competenze per seminare in noi studenti gli anticorpi più radicali contro la violenza, la prevaricazione, il totalitarismo attraverso il sapere e la fede. C’insegnava l’Europa, la strada della nostra rinascita sociale economica e politica … aveva adottato il libro di storia “Italia ed Europa” di Dupré, testo che racchiudeva tutto un programma: “Un’Europa Unita ed in Pace” … ci avvicinava alla letteratura con il metodo della ricerca … la Divina Commedia era il suo laboratorio più intenso”.
Anche noi abbiamo capito solo più tardi l’importanza di questa resistenza, all’interno dei lager, riconfermata con estremo sacrificio, superando le tremende privazioni, giorno per giorno, ed oggi, oltre al coraggio di quella scelta, ci stupisce la sua capacità, negli anni successivi, d’insegnare una via contro l’odio, la vendetta e per l’unità europea.
Nel 2019, per una combinazione fortuita, abbiamo trovato un libro [1] in cui un commilitone dei “Lupi di Toscana” lo ricorda, con queste parole: “Tenente Cividini, figura sacerdotale in saio militare; si diceva tra i colleghi che fosse terziario francescano; per sé recitava il breviario e per noi in baracca intonava il rosario e le preghiere e funzionava da chierichetto alle messe e spesso s’improvvisava predicatore collaborando col cappellano militare Don Pasa …”
Un’altra testimonianza l’ha resa Edwald Savoldi [2], anch’egli internato militare a Sandbostel, che ha scritto: “Presiedeva la distribuzione dei viveri con scrupolo esemplare, fino al punto di sacrificare talvolta parte della sua modestissima razione … non barattava com’era legge del campo la razione di sigarette, concessa saltuariamente, con viveri, ma le distribuiva a chi vedeva maggiormente soffrire per la mancanza di fumo. … Di giorno assisteva alla S. Messa che seguiva con il breviario personale ed ogni sera recitava pubblicamente il S. Rosario …
… Fino al giorno del suo ricovero all’ospedale, dovuto ad estremo esaurimento. …
… Il giudizio di tutti su Pierantonio era di un’ammirazione senza limiti …
… D’una modestia singolare, ricusava ogni elogio e ringraziamento per ciò che compiva di bene …”.
Nel libro “Prigionieri in Germania” [3] si legge “… Ricordo il professor Cividini, anche lui di Bergamo, che era ridotto in condizioni pietosissime, perché era uno che aveva bisogno di mangiare; infatti è morto molto giovane, subito dopo la guerra. …”.
Anche nel libro “Tappe di un calvario” scritto dal cappellano militare Luigi Pasa [4] compare il suo cognome tra i prigionieri dei Lager.
Bergamo, 3 agosto 2023
Annamaria, Fabiana, Giannicola e Roberto Cividini
Riferimenti bibliografici
[1] AA.VV. “Diari – Note e storie di prigionieri internati e combattenti per la liberazione” – editrice
San Marco – Trescore Balneario BG 1995 (pagina 179).
[2] Savoldi E. “Per una memoria del professor Pierantonio Cividini” – testimonianza personale –
dattiloscritto privo di data.
[3] AA.VV. “Prigionieri in Germania” – associazione editoriale “Il Filo di Arianna” – Bergamo 1990
(pagina 138).
[4] Pasa L. “Tappe di un calvario” – editrice S.a.t. – Vicenza 1954 (pagina 55).