Famiglia partigiana

25 APRILE 2022. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (Art. 11 della Costituzione).

Ora e sempre resistenza!

RAGAZZE PARTIGIANE.  Alla “RICCA„ (Enrica Minguzzi), mia sorella, staffetta partigiana a 15 anni.

Stralci di intervista, a Enrica Minguzzi, tratti dal libro “A ‘VÈ  FAT DLA VITA”, edito  a cura dell’ANPI di Ravenna.

“Ho un fratello …. nato quasi 18 anni dopo di me. La mia era una famiglia contadina, abitavamo in via Beltrami (la Carera d’Burató), a Conventello.

I miei genitori avevano fatto la quarta o la quinta elementare, e avevamo molta miseria. Io ho fatto la quinta, poi sono andata a scuola da sarta.

A casa nostra, che nell’estate del ’44 fu sede del comando militare della 28° brigata Garibaldi, c’è sempre stato un grande via vai di gente, venivano da tutte le parti, si facevano riunioni politiche clandestine. La casa era fornita di un rifugio, scavato nella stalla, sotto la “posta” della cavalla, a servizio sia del comando della brigata che di rifugiati politici di passaggio, poteva ospitare 5 o 6 persone, quando era pieno non restava per gli altri che nascondersi in campagna in mezzo al gran turco (a travérs de furmintò).

 Abbiamo ospitato anche dei russi, prigionieri fuggiti ai tedeschi, che a volte bevevano e si mettevano a cantare, creandoci non pochi problemi per la nostra e la loro sicurezza. 

A rendere più difficile la situazione, fu un piccolo drappello della gendarmeria tedesca in trasferimento, che requisì per alcuni giorni, alcune stanze del piano terra a scopo dormitorio.  Venne così a crearsi, per fortuna per poco, una pericolosa convivenza fra soldati tedeschi e partigiani.  Quando arrivava una staffetta, saliva al piano di sopra per consegnare un messaggio al comandante partigiano di turno, che si fingeva un familiare malato e, quando scendeva, cercava di cavarsela con una battuta: “Avere fatto puntura; ahi, ahi, ahi”. E, per fortuna, i tedeschi si mettevano a ridere.  In questo frangente iniziai anch’io l’azione di staffetta. Fu così che a 15 anni, mi resi conto di essere diventata partigiana.

I mezzi di spostamento, a seconda dello scopo, erano, o la bicicletta o il biroccio con la cavalla.

Una volta, io e la Rosetta (figlia di Luigi Fuschini, “Gigió”, di Santerno), con il biroccio pieno di armi sotto un carico di fieno, dirette a casa dei Bartolotti, fummo fermate da una pattuglia tedesca.  Non sapevamo ancora che i tedeschi e i fascisti avevano ucciso, nella tenuta “Marianna” lungo la via Basilica, il boaro e suo figlio e avevano incendiato la casa degli Emaldi, gettando fra le fiamme il vecchio Emaldi. Con i tedeschi cercammo di fare le disinvolte con qualche battuta da ridere; ci offrirono una sigaretta, la Rosetta la prese e l’accese, io, che non avevo mai fumato, dissi: “Fumare a casa” , se l’avessi accesa mi sarei affogata. Così riuscimmo a passare.

Arrivate a casa, saputo dell’incendio, decidemmo di fare un sopralluogo in bicicletta a casa degli Emaldi.  Come arrivate, due tedeschi ci puntarono il fucile, gridando: “Partigiane!” e noi a rispondere: “No, no!” La situazione era terribile, noi sotto la minaccia dei due tedeschi, le mucche impazzite per l’incendio correvano per il cortile, la casa bruciava. Furono momenti di vero terrore!!! Dopo un po’ i due tedeschi si allontanarono per bloccare una mucca e noi riuscimmo a scappare. Ritornando sulla strada del Rivalone, ci imbattemmo in due camionette cariche di tedeschi, per nostra fortuna erano troppo lanciati per far caso a due ragazzette che passavano in bicicletta. Se fossero arrivati mentre eravamo a casa degli Emaldi chissà che fine avremmo fatto.

Un’altra volta, io, la Santina e suo padre (Zanerda), venivamo da Porto Corsini, col solito carico di armi sotto la paglia nel biroccio. Arrivati al Borgo S. Biagio a Ravenna, ci imbattemmo in un posto di blocco di tedeschi e fascisti. Pensavo: “Stavolta ci impiccano”. Anche se colti di sorpresa, con molta paura, decidemmo cosa tentare. Noi due ragazze ci aprimmo un po’ la camicetta e sollevammo un po’ la gonna, cominciando a fare complimenti ai fascisti e ai tedeschi dicendo che erano belli e altre frasi simili. La cosa funziono! Ci fecero passare senza neppure perquisirci.  Indescrivibile il disagio e lo spavento che si prova in situazioni simili.

 Una volta che ero in missione, in bicicletta, con il tubo della sella (e canò) pieno di volantini di propaganda da portare ai Bartolotti, incontrai due partigiani, che mi dissero di pedalare più in fretta possibile perché c’era pericolo. Quando tornai indietro vidi che uno dei due era stato ucciso nei pressi della casa dei Pitrò. Immagini che non si dimenticano.

La nostra casa, che fu sede del comando partigiano, fu luogo di incontro di tanti dirigenti antifascisti, il comandante Bulow (Arrigo Boldrini), Zalet (Gino Gatta), Nando (Gaetano Verdelli), Ennio Cervellati, Rodolfo Salvagiani, Giuseppe D’Alema (babbo di Massimo), Falco (Alberto Bardi), Bunet (Luigi Bonetti), Mario Gordini.

Mario Gordini, che veniva spesso a casa nostra, era un norcino eccezionale. Il giorno che l’uccisero aveva appena fatto la “pcareia” a casa nostra. “L’aiuté mi bab a fè la pcareia e l’anda a fez amazè” (aiutò mio babbo a fare la norcineria poi andò a farsi ammazzare).

Le ragazze (al tabachi) che ho conosciuto e condiviso le azioni, sono la Rosetta Fuschini, l’Ilonka e sua sorella Nerida, le sorelle Bartolotti, la Santina Masotti e le sue sorelle, la Norma…

Una volta, a casa, fummo sorpresi dall’irruzione di una pattuglia tedesca in azione di rastrellamento. Mio padre non riuscì a rifugiarsi in tempo, mia mamma cercava di coprire in fretta la botola che dava al rifugio sotto la cavalla dove si era appena infilato Zalet (Gino Gatta), quando  i tedeschi entrarono nella stalla; c’era un tavolino con dei fogli di carta e una matita, il capo pattuglia chiese arrogante: ”Essere ufficio?” , mio padre lasciò partire una grande risata da matto e rispose: “Si ufficio! Essere ufficio del cavallo!” e prosegui con la risata. I tedeschi non devono averlo considerato normale, perché con un ordine secco girarono le spalle e lasciarono la casa, con mia madre bianca come il latte per lo spavento. ….Un giorno dovetti allontanarmi in fretta  da casa e rifugiarmi da una mia zia, un vicino ci aveva confidato che i fascisti stavano prendendo informazioni  in giro sul mio conto. Una giovane del posto aveva fatto una spiata ai fascisti di Conventello circa i miei movimenti e rischiavo seriamente di essere scoperta con rischio della vita.  Per fortuna la cosa non ebbe seguito, i fascisti avevano ormai altro da pensare. Poi, come si poteva sospettare una ragazzina di 15 anni?”

Ivan Minguzzi

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