Alcuni anni fa camminavo da Bologna a Firenze insieme a un amico tedesco lungo la Via degli Dei, un percorso che passa accanto alla regione di Marzabotto e Monte Sole, attraversa Monzuno – comune Medaglia d’Oro della Resistenza -, supera la Linea Gotica e il Passo della Futa con il suo grande cimitero militare tedesco.
Lungo il cammino si incontrano numerosi cimeli in ricordo della Guerra di Liberazione e del sacrificio di uomini e donne della Resistenza e delle popolazioni civili.
Davanti alle stele, ai cippi e alle targhe commemorative il mio amico Albert, persona molto religiosa, si raccoglieva in preghiera: un tedesco che sarebbe piaciuto anche a Franco Leoni Lautizi, sopravvissuto alla strage di Marzabotto, dove perse quasi tutta la sua famiglia.
Infatti Franco dice, nel suo libro di ricordi, “Iniziai a vedere anche loro [i tedeschi] come delle vittime della guerra. […] Ho pensato che non fosse giusto continuare ad odiare tutti i tedeschi”.
Lo storico e docente Daniele Susini ha curato le memorie di Franco Leoni Lautizi nel libro Ti racconto Marzabotto. Storia di un bambino che è sopravvissuto (a cura di Daniele Susini. De Agostini, 2022, pagg. 160, € 12,90) uscito all’inizio di quest’anno con la prefazione di Martin Schulz, già Presidente del Parlamento europeo. Libro che raccoglie i ricordi del piccolo Franco, taciuti per decenni ed infine raccontati nelle scuole di fronte a migliaia di giovani e adolescenti.
Per troppo tempo Franco Leoni ha tenuto dentro di sé il dolore (morale e fisico), contornato dall’indifferenza di molti, famigliari, conoscenti e autorità, finché il coperchio è saltato e Franco (“che [se] la mia memoria fosse […] come un telefonino: schiaccerei Cancella”) ha cominciato a raccontare quello che ha provato quando i tedeschi ferirono a morte sua mamma incinta, che lo ha protetto con il suo corpo, pur non evitando che tre pallottole nemiche raggiungessero l’addome e le gambe del bambino.
“Racconto la mia storia di sopravvissuto, con la ‘s’ minuscola. E racconto la Storia, con la ‘S’ maiuscola, dato che mio malgrado l’ho incrociata. […] Io mostro ai ragazzi e alle ragazze di oggi che cosa è la guerra e lo faccio perché possano apprezzare il loro vivere in tempo di pace”, e aggiunge “anche io, prima di incappare nella Storia, ero un bambino felice”.
Con parole e frasi semplici, ma precise, Franco Leoni ripercorre gli anni iniziali, quando la guerra era ancora una faccenda lontana dalle terre appenniniche, ma dove invece i mezzadri dovevano combattere battaglie quotidiane per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena. “In ogni caso tra famiglie ci si aiutava e in tavola c’era sempre qualcosa. […] Talvolta si mangiava solo insalata ed erbe di campo o noci e formaggio, ma io trovavo tutto buonissimo e mi bastava”. Nel racconto di Franco si colgono squarci di vita contadina e del duro lavoro per ottenere dai campi raccolti sufficienti a mantenere le famiglie e da condividere con i proprietari: “Metà del raccolto andava ai ricchi Zanini, metà restava alla mia famiglia, anche se c’è da dire che questa metà si riduceva ulteriormente, e a noi non restavano che poche briciole”. Comunque la vita scorreva tranquilla e al termine del raccolto “ecco il banchetto; lunghe tavolate a cui si mangiava tutti assieme, e poi… Via alle danze!”.
Poi questi momenti di semplice vita contadina vennero interrotti dalla guerra, il padre richiamato alle armi, che diserta e rimane a lavorare i campi, le notizie della guerra arrivano nelle zone rurali “con il contagocce” e il “passaparola”. La guerra vista come un sopruso con i ricchi a guadagnarci “e noi poveri, sempre qua a fare la fame.”
Dopo l’armistizio la guerra entra direttamente nelle loro terre appenniniche con la costruzione nel 1944 della Linea Gotica “proprio vicino a casa nostra” e l’arrivo dei soldati tedeschi “che prima non ce n’erano, ora invece ce li trovavamo in casa”.
Qui il racconto di Franco diventa più vivo, incrociando i destini delle famiglie contadine con il passaggio dei militari occupanti, dei partigiani operanti sulle pendici del Monte Sole e lontano le battaglie con le truppe alleate. I bombardamenti si avvicinano sempre di più. Quelli che ai bambini sembravano fuochi artificiali, ricorda Franco, diventano sempre più pericolosi e si vedono case e boschi bruciare.
Cominciano ad arrivare anche notizie di uccisioni di civili e di rappresaglie, le case coloniche non sono più sicure e ci si nasconde nei boschi, negli anfratti e nelle grotte. Il piccolo Franco viene a contatto con la realtà della guerra partigiana, il fratello minore di suo padre diventa partigiano, una sua giovanissima cugina è staffetta, un giovane del luogo – Cacao – fa il doppio gioco tra partigiani e fascisti. Sarà lui a guidare i tedeschi durante la rappresaglia di settembre 1944 e a indicare loro il rifugio nei boschi della famiglia Leoni. Franco Leoni racconta con poche incisive parole l’uccisione indiscriminata da parte dei tedeschi (guidati da Cacao) dei membri della sua famiglia, vista dal rifugio in cui erano nascosti “Io me ne stavo rannicchiato tra le braccia di mia mamma, appoggiato al suo grosso pancione”. Poi tutto finì: la nonna venne colpita per prima, Franco fu raggiunto da tre colpi e “stranamente non provai nessun dolore, [ma] il vero dolore che provai invece fu vedere mia madre morire […] le spararono dritto al pancione”.
Parole tragiche, dure che rappresentano lo stato d’animo del sopravvissuto e che lo hanno accompagnato tutta la vita: “Vivere o morire in quei momenti era solo questione di fortuna”.
Ma le sofferenze non terminarono con la fine della rappresaglia che lo rese orfano dei due genitori, con le cure ricevute nell’ospedale da campo americano e con l’arrivo della pace.
Il piccolo Franco dovrà affrontare ulteriori prove: i tristi anni trascorsi in un orfanotrofio, raccontati con accenti da romanzo di Dickens, ricordando le angherie subite da suore crudeli “a suon di cinghiate sulle gambe”. Il momentaneo lieto fine con l’adozione da parte di una nobildonna marchigiana, troppo presto scomparsa e la susseguente ricerca di lavoro come operaio in fabbrica e infine come impiegato comunale. Venne anche il momento di farsi una famiglia e di avere figli.
Ma le sofferenze vissute da piccolo non lo abbandonavano, “ho sempre sperato che venisse fatta giustizia, che quegli uomini senza pietà fossero puniti”. Franco dovette aspettare fino al 2006, fino al momento del processo per la strage di Marzabotto davanti al Tribunale militare della Spezia, dove poté testimoniare con i suoi ricordi “superando il blocco dell’emozione e del dolore”. Il processo terminò con la condanna all’ergastolo di dieci ufficiali tedeschi “che [però] non hanno fatto nemmeno un giorno di galera”. Da qui è nata la volontà di Franco Leoni di testimoniare davanti ai giovani delle scuole perché diventino “giardinieri della Memoria, [affinché] i valori di Giustizia, Tolleranza, Libertà, Uguaglianza, Solidarietà e Fratellanza continuino a governare il nostro Paese”.
Questi concetti sono stati ribaditi da Martin Schulz nella prefazione al libro di Franco Leoni (ricordando tra l’altro di avere ricevuto la tessera di socio onorario dell’ANPI), sottolineando la responsabilità della Germania del dopoguerra “di vegliare ogni giorno, ogni minuto, su questa Unione Europea che deve essere innanzi tutto una comunità di pace”. Nell’aprile dell’anno scorso Franco Leoni ci ha lasciato e non può più raccontare ai ragazzi di oggi gli orrori della guerra, ma grazie al libro curato da Daniele Susini i suoi ricordi continuano a circolare nelle scuole italiane, come il bel film di Giorgio Diritti L’Uomo che verrà, uscito nel 2009 e liberamente ispirato ai racconti di Franco Leoni.
Io personalmente ho regalato il libro di Franco Leoni ai miei nipoti, affinché riflettano sugli orrori scatenati dalle guerre di odio nazionalistico, che speravo fossero un ricordo del passato, ma che invece si sono ripresentati in questi ultimi mesi a poche centinaia di chilometri dalla nostra frontiera.
Agostino Botti
Magonza, settembre 2022